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Quando li si sente per la prima volta, gli insegnamenti sul non sé possono generare confusione o addirittura paura; possiamo temere che non sé significhi la perdita del nostro io, come se stessimo per morire. La psicologia del non sé è piuttosto diversa, però: in pratica non dobbiamo cambiare o sbarazzarci di niente, si tratta semplicemente di imparare a portare lo sguardo al di là delle false idee sul nostro «io». Scopriamo di poter lasciar andare il limitato senso di sé, ossia che l’attaccamento e l’identificazione sono facoltativi.

Per prendere in esame questo processo di identificazione giocateci un po’ mentre leggete. Immaginate di essere questo libro. Identificatevi in esso, fingete che sia « voi ». Come vi sentite sotto forma di libro? Sono un libro nuovo. Ho una copertina carina. Sono pieno di parole e di discernimento. Qualcuno prova interesse per me. Mi piace essere letto. Magari diventerà un successo di vendite, diventerò famoso. O forse no. Ora notate che cosa succede quando chiudete il libro. Chiudetelo con delicatezza. Mi piace essere rispettato. Riapritelo e chiudetelo sbattendolo, stavolta; buttatelo sotto un cuscino o nascondetelo fra altri libri. Che effetto vi fa? Non mi piace essere chiuso così bruscamente, non voglio essere messo via o perso, non mi piace essere lasciato cadere o finire nascosto da qualche parte. Ora smettete di identificarvi con il libro: adesso è solo un libro. Riapritelo e richiudetelo, mettetelo via o nascondetelo. Notate che diverso effetto vi fa. Il libro non è voi.

Questo processo di identificazione succede di continuo. Il guru indiano con cui ho studiato, Sri Nisargadatta Maharaj diceva sempre, ridendo: «Ti identifichi così facilmente con tutto quanto – il tuo corpo, i tuoi pensieri, le tue opinioni, i tuoi ruoli – e così soffri. Io ho lasciato andare ogni identificazione ». Alzava la mano e spiegava: «Guardate come si toccano il pollice e l’indice. Quando mi identifico nell’indice io sono colui che percepisce e il pollice è l’oggetto della mia percezione; invertite l’identificazione, e sono il pollice che percepisce l’indice come un oggetto della percezione. Scopro che in qualche modo spostando l’oggetto su cui è concentrata la mia attenzione io divento proprio la cosa che sto guardando. (…) Questa capacità di entrare in altri punti focali di coscienza io la chiamo amore. Potete chiamarla come volete. L’amore dice ‘Io sono tutto’. La saggezza dice ‘Io non sono nulla’. Fra questi due scorre la mia vita ».

La capacità di passare da un’identità all’altra non appartiene solo ai guru indiani: è una dote umana. Chi svolge una funzione spesso coltiva la capacità di entrare in altre identità. La persona più esperta nel seguire le tracce degli animali selvatici diventa l’animale che sta seguendo. I detective più abili entrano nell’identità delle persone su cui stanno indagando. Gli attori hanno successo in proporzione alle loro capacità di entrare in altre identità in modo convincente. Una madre si identifica spontaneamente e istintivamente con il figlio piccolo e sa perché sta piangendo. Gli innamorati dicono che i loro cuori battono come se fossero uno solo.

Questa sana liberazione dall’identificazione non è lo straniamento da sé di uno psicotico che si guarda la mano come se fosse un oggetto estraneo: quella è una disconnessione per errore, il risultato di un’illusione patologica. Liberarsi dall’identificazione non significa neanche negare l’essenza meravigliosamente unica e singolare di ogni individuo; la nostra unicità rimane, ma senza attaccamento egocentrico né paura. Scopriamo che la nostra identità è qualcosa di più indistinto, scopriamo che scorre come un fiume e torna a rinascere ogni momento. La saggezza dice che noi non siamo nulla; l’amore dice che noi siamo tutto; fra questi due scorre la nostra vita.

Jack Kornfield