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Un modo in cui ci rendiamo a volte impossibile aprirci alla semplicità e all’immediatezza del momento presente è l’afferrare qualche esperienza del passato per proiettarla nel futuro. Se si è trattato di un’esperienza piacevole, cerchiamo di ripeterla; se è stata spiacevole, cerchiamo di impedire che avvenga di nuovo. In un caso o nell’altro, la nostra pratica si trasforma in una strenua battaglia contro il passato e il futuro, anziché stimolare una piena attenzione verso ciò che accade nel momento presente. Possiamo anche attaccarci a esperienze piacevoli di estasi o di visione profonda. Una determinata seduta di meditazione si è, ad esempio, rivelata stupenda, con la mente limpida e concentrata, ed ecco che noi iniziamo la seduta successiva aspettandoci di riprendere dal punto in cui eravamo rimasti, ma questa volta tutto è doloroso e confuso: “Ah, se solo potessi tornare al punto in cui ero rimasto”. In questa maniera, possiamo sperperare una parte considerevole della nostra pratica nel tentativo di opporre resistenza alla nostra esperienza presente e di riguadagnare qualcosa che ormai appartiene al passato. E questa battaglia sminuisce il potere che ha la fede di guarire e approfondire.

Ogni esperienza, per quanto possa risultare stupenda o terribile, è destinata a cambiare e svanire. Ciò che noi siamo, è un processo che si dispiega continuamente nell’ignoto di ogni nuovo istante. Se ci sforziamo di riconquistare ciò che è ormai passato, non facciamo altro che renderci prigionieri di quello che già conosciamo.

Si immagini di star compiendo un lungo viaggio per territori inesplorati: ecco che si arriva a una montagna, e se ne raggiunge infine la vetta. La vista è meravigliosa, e l’aria fredda e inebriante. Ma, per quanto tutto ciò sia straordinario, alla fine ci si rimette in marcia e si riprende il proprio viaggio. Il sentiero porta su altre vette, precipita in valli desertiche, traversa paludi e foreste. Ogni luogo che si raggiunge è eccezionale, e tutto merita di essere esplorato. Ma ciò è possibile solo se si viaggia leggeri, senza attaccarsi a ciò che è già svanito, senza far confronti, e senza cedimenti.

Aver fede significa confidare nel dispiegarsi della propria vita: è una propensione a liberarsi di ogni paura e attaccamento, e a schiudersi all’ignoto di ogni nuovo istante.

 

Jack Kornfield, Joseph Goldstein